Ha posato la matita Marcello Gandini, il designer dei sogni su carta

Si è spento lo scorso 13 marzo all’età di 85 anni, lascia in eredità automobili iconiche. Senz’altro il più visionario dei designer italiani, capace di rendere realizzabile l’impossibile.

Marcello Gandini
Marcello Gandini (Torino, 26 agosto 1938 – Rivoli (TO), 13 marzo 2024)

Curve e linee rette, in quest’ordine. Marcello Gandini traccia dapprima le curve morbide della Lamborghini Miura (1966) e della sua consorella Alfa Romeo Montreal (1967), auto estreme che però, grazie alle loro sinuosità, non rinunciano all’eleganza, sfacciata per quanto evidente. Eleganti e al tempo stesso innovative, anzi, addirittura dirompenti, a tal punto da diventare dei simboli stilistici, con la 12 cilindri di Sant’Agata Bolognese a costituire la pietra miliare di una nuova categoria di automobili: le supercar costruite specificatamente per la strada, un gradino sopra le berlinette da turismo, uno sotto i bolidi da pista.

Neanche il tempo di metabolizzare lo shock e in pochi mesi, non
anni, Gandini passa alle linee tese, angoli e cuspidi, tagli netti, introduce il
razionalismo dello spigolo, roba da gettare nel cestino il curvilineo. Un
cambio radicale nell’interpretare il disegno dell’auto. 

Sono figlie del nuovo corso i concept Lamborghini Marzal (1967), la Jaguar Pirana (1967), la Alfa Romeo Carabo (1968), la Innocenti 750 (1968), un quasi cubo a 5 posti da 3 metri e mezzo di lunghezza, e il prototipo della Fiat 128 coupé (1969), con il singolare carrello della spesa entrocontenuto.

Alfa Romeo Carabo - Marcello Gandini
Alfa Romeo Carabo (1968)

E poi sogni riportati su carta: la Runabout (1969) che diventa Fiat X1/9 (1972), la Bertone Strato’s HF Zero (1970), la Lancia Stratos (1971), la Lamborghini Countach (1971), modelli tanto onirici da sembrare irrealizzabili.

Irrealizzabili quasi quanto una supersportiva con motore centrale a 4 posti, un ossimoro su ruote, eppure Gandini riesce nell’impresa di delinearla, dando la possibilità a Bertone, l’atelier per cui lavora, di piazzare lo stesso disegno presso due case concorrenti, alla Lamborghini la Urraco (1972) e alla Ferrari la Dino 308/GT4 (1974).

  Il sodalizio con Bertone: è a capo del Centro Stile

Marcello Gandini per Bertone, quasi da ripetersi senza spazi, un’unica parola da leggersi tutta d’un fiato. Per Nuccio Bertone non fu difficile affidarsi a Gandini per i suoi progetti di punta dopo che Giugiaro aveva lasciato la casa di Grugliasco per la Ghia: aveva avuto fiuto una prima volta, lo ebbe di nuovo una seconda volta. Bertone fu il suo unico “capo”, fino a quando nel 1980 si mise in proprio, continuando a disegnare in perfetta solitudine nel suo studio di Almese (TO), preferibilmente di notte come aveva sempre amato fare.

Era convinto che le innovazioni stilistiche, quelle di rottura, nascessero esclusivamente dalle intuizioni del singolo, da un’unica mente. Il lavoro di gruppo non era il suo forte, si rifaceva spesso a Flaminio Bertoni, il padre della Citroën DS, tanto geniale nelle sue visioni quanto autocrate accentratore nel pensarle e imporle.

Gandini si è dedicato alle auto da sogno, certo, ma anche alle auto di tutti i giorni. Già detto della Innocenti 750 diventata poi Mini 90/120 (1974) per volere degli inglesi della British-Leyland, non manca di dare un indirizzo di stile all’Audi 50 (1971), declinata successivamente in VW Polo, e alla BMW serie 5 (E12), disegnando per i bavaresi il concept 2200ti Garmisch (1970)

Definisce anche le linee della Volvo Tundra (1979), il prototipo che diventerà Citroën BX (1982), la media più squadrata mai realizzata prima, e probabilmente anche dopo, dai francesi del Double-Chevron.

Anche i francesi della Renault si rivolgono a lui per disegnare la sostituta della R5, un best-seller con ormai 10 anni sul groppone ma ancora moderna nell’impostazione stilistica. “Guardate, non riuscirei a disegnare una vettura migliore della R5, è già perfetta così”, e Gandini si limita a ritracciarne le linee ex-novo rimanendo fedele al modello d’origine, intervenendo esclusivamente sui dettagli per renderla più moderna: è la Supercinque (1984).  

Ma il richiamo delle supercar è troppo forte e, pur distraendosi con il disegno industriale e dell’arredo, disegna ancora la Cizeta V16T (1988), la Lamborghini Diablo (1989), il pre-prototipo della Bugatti EB110 (1989) e rinnova le Maserati Biturbo: Shamal (1989), Ghibli II (1992), Quattroporte IV (1994).

Tra le tante auto, il suo estro si dedica anche alle moto, sono a sua firma lo scooter Innocenti Lui (1968) e la Moto Guzzi V7 Sport (1971), agli autocarri, disegna la cabina del Magnum AE di Renault (1990), e persino agli elicotteri, suoi la cabina e il cockpit dell’ultraleggero CH-7 Angel (1991) della Elisport di Torino.

BMW 2200ti Garmisch (1970)
BMW 2200ti Garmisch (1970)

  Pignolo e “mai cuntent”

Ma prima del disegnatore c’è l’uomo. Piemontese e introverso, spiazzante per la sua naturale propensione a presentarsi come una persona normale, probabilmente tra i disegnatori più antidivi che il mondo dell’auto abbia mai avuto. Parlando dei suoi (capo)lavori se ne distaccava, quasi ne prendeva le distanze, come se assumersene la paternità per gratificarsene fosse un’inutile perdita di tempo. Riguardandoli, inoltre, aveva la perenne sgradevole sensazione d’insoddisfazione, a posteriori ne vedeva solo i difetti e se ne rammaricava non potendo più porvi rimedio. Per dirla alla sua maniera, non era “mai cuntent“.

Non a caso amava dire che ciò che aveva realizzato non lo riguardava più, pensava già esclusivamente al progetto di là da venire, la prossima auto sarebbe stata senz’altro la più bella che avesse mai disegnato. Uno sguardo perennemente proiettato al futuro, rinunciando del tutto a quel comprensibile autocompiacimento che almeno in tarda età avrebbe dovuto far capolino. 

Tale atteggiamento gli aveva permesso di non smettere mai di lavorare, fino all’ultimo, quando ormai 85enne si stava dedicando al Qatar Auto Museum di Doha. Aveva anche fatto in tempo a ricevere la laurea honoris causa in Ingegneria Meccanica dal Politecnico di Torino, solo due mesi fa, un riconoscimento che forse avrebbe meritato molto prima.

Ora la sua figura sarà definitivamente annoverata tra i padri dell’automobile, immortale, come in precedenza lo erano già diventati i suoi disegni. Con prima le curve e poi le linee rette, rigorosamente in quest’ordine. 

Marcello Gandini - Laurea Honoris Causa - Politecnico di Torino
Marcello Gandini - Laurea honoris causa dal Politecnico di Torino - 12 gennaio 2024
Bertone Strato's HF Zero (1970)
Bertone Strato's HF Zero (1970)

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