Indagato il Presidente dell’ACI Sticchi Damiani

La Procura di Roma contesta al presidente di ACI il falso in atto pubblico per omessa dichiarazione di una somma complessiva pari a 3,5 milioni di euro, è chiamato a difenderlo il figlio dell’attuale viceministro della Giustizia

Un moto di meraviglia. Sono anni che la Corte dei conti rileva e segnala anomalie su anomalie nella retribuzione annuale del presidente di ACI dovuta principalmente ai suoi molteplici incarichi nelle controllate del gruppo, ma affinché qualcosa accadesse è stata necessaria una denuncia arrivata direttamente dall’interno di ACI per far si che la Procura di Roma avviasse un’indagine per verificare se la condotta avesse rilevanza penale.

Al momento il pm Carlo Villani contesta a Sticchi Damiani il falso in atto pubblico, il capo d’imputazione riporta che “al fine di non farsi applicare il tetto retributivo annuale” dichiarava falsamente “i dati relativi ai redditi”.

L’indagine è partita su segnalazione di alcuni funzionari di ACI stessa che hanno indicato alla procura come il 78enne presidente abbia negli anni nascosto nelle sue autocertificazioni annuali sul reddito, atto pubblico obbligatorio per i manager della pubblica amministrazione, rilevanti somme di denaro percepite per i suoi numerosi ruoli con lo scopo di non sforare la cifra di 240 mila euro previsti dalle norme sul tetto agli stipendi per i dipendenti pubblici. Esattamente quanto rileva da tempo la Corte dei conti, pur nell’indifferenza generale.

Gli anni passati sotto la lente della procura vanno dal 2017 al 2020, quattro anni in cui, secondo chi indaga, Sticchi Damiani avrebbe omesso di dichiarare una somma complessiva superiore a 3,5 milioni di euro che non avrebbe potuto e dovuto percepire.

Se nel 2017 a fronte di una dichiarazione di € 246.696 la procura ha rilevato una retribuzione reale di € 665.328, per lo più derivante dagli incarichi in Sara Assicurazioni e Sara Vita, nel 2018 i compensi superano il milione di euro, per diventare € 1.593.591 nel 2019 e € 1.320.042 nel 2020, a fronte di una dichiarazione costantemente poco al di sotto del tetto massimo consentito dalla legge di 240 mila euro.


È bene sottolineare che Sticchi Damiani è innocente fino a prova contraria, se il falso c’è e abbia rilevanza penale o meno lo decideranno i giudici romani, rimane però incontestabile il dato che vede il presidente ACI ricevere annualmente emolumenti che superano anche di 6 volte il tetto massimo previsto dalla legge.

Nel tentativo di eludere tale tetto, negli anni il presidente ha dapprima tentato di negare che il suo ruolo fosse equiparabile a un manager pubblico, e il TAR Lazio gli ha dato torto; poi ha tentato, anche contestando i rilievi mossi dalla Corte dei conti, di ricondurre le partecipate ACI a mere società di diritto privato, con la Cassazione che nel 2019 ha definitivamente stabilito come invece le stesse abbiano una natura pubblica, checchè ne dica il suo presidente.

La Corte dei conti potrebbe quindi aprire un procedimento per danno erariale, richiedendo la restituzione di quanto eventualmente illegittimamente percepito negli ultimi anni, a prescindere dall’evoluzione dell’indagine della procura.

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Per far valere il suo diritto alla difesa, il presidente di ACI si è rivolto a un noto studio legale a capo del quale c’è il suo corregionale Roberto Sisto, figlio del noto penalista Francesco Paolo attuale viceministro alla Giustizia in carica. Sotto il profilo formale tutto legittimo, ci mancherebbe, ma in termini di opportunità? In quanti paesi avremmo potuto osservare una tale “triangolazione” senza che nessuno rilevasse l’inopportunità per il secondo manager pubblico più pagato dallo Stato di farsi difendere dall’erede del vice guardasigilli? Sembra in ogni caso che presso qualche Ministero più d’uno abbia avuto delle perplessità. 

C’è da rilevare, inoltre, la strana doglianza del legale di Sticchi Damiani che lamenta l’eccessivo risalto dato dai giornali alla notizia, ovvero al: “singolare spazio giornalistico dedicato a un mero avviso di conclusione delle indagini preliminari”. Se il figlio di un viceministro della Giustizia, legale di un potente manager pubblico, intende sostituirsi ai direttori di giornale nel valutare la rilevanza o meno di una notizia, può sempre decidere per il cambio di professione, ma fintanto che rimane avvocato non può sindacare sullo spazio dedicato dai giornali alla notizia che riguarda un suo assistito, è un’affermazione tanto maldestra quanto tediosa, soprattutto in considerazione dell’ingombrante rapporto di parentela diretto con un viceministro della Repubblica in carica.

Eppure egli stesso assiste la Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI) in processi legati alla libertà di stampa, partecipando persino quale relatore a un convegno organizzato dalla stessa FNSI dal chiaro titolo: “Querele bavaglio e minacce ai cronisti“. Uno dei tanti cortocircuiti che rendono il nostro paese unico al mondo.

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